venerdì 5 maggio 2017

PILLOLE DI CHINA E CELLULOIDE: Alien 3

Perché questo terzo capitolo della saga dello xenomorfo non ha niente dell'epica dei primi due episodi?
Semplice, perché per il 1992, anno in cui è uscito il film, era talmente avanti da non essere stato oggettivamente capito.
Tante delle nuove intuizioni della storia, come delle innovazioni registiche, diventeranno prassi del cinema del nuovo millennio. Per esempio, decidere di far diventare l'eroe mortale e sostituibile, come negli ultimi prequel di Ridley Scott, oppure utilizzare un cast intero di reietti che tutto ti ispirano tranne che afflati d'affetto e simpatie.
Ma soprattutto oltre ad inserire un Alien in 3D che non guasta al botteghino, la sequenza distorta della trappola escogitata attraverso il percorso delle gallerie è una pre-visualizzazione di tanta sperimentazione virtuale del cinema degli anni a venire.
Deleterio per quegli anni e per il brand  è la scelta di una monocromia ambientale soffocante e polverosa che caratterizza il cinema di Fincher: un color ocra esteso a gradazioni verde bottiglia che ritroveremo in altre pellicole di maggior successo come Seven, The Social Network e Il curioso caso di Benjamin Button.

Oggi Alien 3 lo si apprezza meglio e soprattutto come prova d'esordio di un regista talentuoso che ha saputo scegliere, pur essendo giovane, un percorso tortuoso e coraggioso proprio perché lontano dalla cifra stilistica dei due grandi maestri (Scott e Cameron) che lo avevano preceduto.




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